Quando le stagioni scorrevano, al mio paese . Bianco ottobre1963. Autore Franco Sicari
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Quando le stagioni scorrevano, al mio paese . Bianco ottobre1963. Autore Franco Sicari
Era iniziato da pochi giorni l'anno scolastico e alle 06,00 eravamo tutti svegli.
Mio padre aveva messo la caffettiera sul fuoco che borbottava buttando fuori l'ultimo caffè.
L'aria era frizzante e ancora nell'orto, che circondava la vecchia casa di 5 stanze in via Cristoforo Colombo, facevano capolino nei rami più alti le melanzane più piccole, le più saporite che sicuramente mia madre avrebbe cucinato "abbottonate".
La fila per andare nell'unico bagno era obbligatoria e poi, io e mia sorella Rita, di corsa verso la stazione FS per pigliare il locale che ci avrebbe portati a Locri, sede di scuola media e liceo classico.
Mia madre avrebbe preso il pulmann che l'avrebbe portata in contrade lontane sede di scuole di campagna, dove avrebbe insegnato per tutto l'anno.
Mio padre e mio fratello Saverio sarebbero andati alla scuola elementare di Bianco, dove mio padre era segretario didattico, mentre mio fratello faceva la 4a elementare.
In casa restavano i cani da caccia Bobby e Zaccaria, i gatti e gli altri animali come galline, conigli, porcellini d'India e uccelli vari.
Il treno accelerato attraversava i paesi di Bovalino, Ardore, Sant'ilario e Locri.
Il sole già era alto quando scendevamo dal treno, alla stazione di Locri.
Era ancora estate ed ancora non c'erano state le prime piogge autunnali e le fiumare erano asciutte.
Ma nell'aria si percepiva, come un sesto senso, che il tempo era di lì a cambiare.
Prima ora di Italiano ed il professore P. ci invitava a leggere in classe il primo canto dell’ Iliade:
"Cantami o diva del Peide Achille
l'ira funesta che infiniti lutti......"
Poi il commento....!
Si dice che Omero fosse cieco e che avesse appreso le storie dagli antichi aedi che tramandavano col canto le storie e le favole.
Nella testa si affollano tanti ricordi che la mente non riesce a mettere in ordine, che girano, ritornano e confondono passato e presente.
Il treno del ritorno a casa alle ore 13,00.
Il primo che arrivava metteva a bollire il pentolone della pasta.
Mia madre sarebbe arrivata per ultima, col postale delle 14,30.
Tutti eravamo a casa e finalmente si pranzava.
I cani ci facevano le feste mentre il sole, che aveva perso un pò di forza, girava verso ovest dove sarebbe scomparso dietro l’Aspromonte alle 17,30. Non c'era l'ora legale.
Tempo di vendemmia nelle campagne di Bianco, paese di vino rosso e forte ma anche di vino Greco e Mantonico, dolci e liquorosi con mille profumi di zagara e di ginestra.
La sera cala sulla vecchia casa di mia madre, sulla statale 106.
Mia madre sempre a lavoro per sistemare la casa e per cucinare.
Mio padre sarebbe arrivato a casa alle 21,00, dopo la partita a carte al bar Cafari.
Quella sera avrebbe portato per cena un kg di pescestocco che avrebbe cucinato nel modo più semplice possibile e cioè bollito e condito con olio di oliva.
Nel lettino c'era già una coperta e mi stringevo, piegando le gambe, coprendomi tutta la testa, lasciando solo il naso per respirare perchè avevo paura della notte e del buio.
Almeno non erano arrivati i temporali ed i lampi.
Vedevo in un attimo,prima di addormentarmi,le alte mura della città di Troia ed Ettore nella sua armatura lucente.
Poi i sogni della notte che mi hanno accompagnato per tutta la vita.
L'indomani si sarebbe ripetuta la storia della vita, vita uguale, stagnante, ritmata dal nascere e dal tramonto del sole e dal succedersi regolare delle stagioni senza sorprese o cambiamenti , che, se c'erano, erano lenti,assorbibili e controllabili.
La vecchia casa sulla statale 106 non c'è più.
Sono morti i miei genitori, i miei cani e gli alberi da frutta nel giardino che circondava la casa.
Poche auto sulla statale 106, poche persone.
Solo qualche ubriacone che rientrava tardi a casa, avvinazzato e che si fermava per parlare con i platani.
Poi solo il silenzio.
Solo un orecchio sensibile e fino avrebbe sentito uno sciacquettio leggero che viene ancora da est, è il suono del mare Ionio, antico come l'eternità.
Mio padre aveva messo la caffettiera sul fuoco che borbottava buttando fuori l'ultimo caffè.
L'aria era frizzante e ancora nell'orto, che circondava la vecchia casa di 5 stanze in via Cristoforo Colombo, facevano capolino nei rami più alti le melanzane più piccole, le più saporite che sicuramente mia madre avrebbe cucinato "abbottonate".
La fila per andare nell'unico bagno era obbligatoria e poi, io e mia sorella Rita, di corsa verso la stazione FS per pigliare il locale che ci avrebbe portati a Locri, sede di scuola media e liceo classico.
Mia madre avrebbe preso il pulmann che l'avrebbe portata in contrade lontane sede di scuole di campagna, dove avrebbe insegnato per tutto l'anno.
Mio padre e mio fratello Saverio sarebbero andati alla scuola elementare di Bianco, dove mio padre era segretario didattico, mentre mio fratello faceva la 4a elementare.
In casa restavano i cani da caccia Bobby e Zaccaria, i gatti e gli altri animali come galline, conigli, porcellini d'India e uccelli vari.
Il treno accelerato attraversava i paesi di Bovalino, Ardore, Sant'ilario e Locri.
Il sole già era alto quando scendevamo dal treno, alla stazione di Locri.
Era ancora estate ed ancora non c'erano state le prime piogge autunnali e le fiumare erano asciutte.
Ma nell'aria si percepiva, come un sesto senso, che il tempo era di lì a cambiare.
Prima ora di Italiano ed il professore P. ci invitava a leggere in classe il primo canto dell’ Iliade:
"Cantami o diva del Peide Achille
l'ira funesta che infiniti lutti......"
Poi il commento....!
Si dice che Omero fosse cieco e che avesse appreso le storie dagli antichi aedi che tramandavano col canto le storie e le favole.
Nella testa si affollano tanti ricordi che la mente non riesce a mettere in ordine, che girano, ritornano e confondono passato e presente.
Il treno del ritorno a casa alle ore 13,00.
Il primo che arrivava metteva a bollire il pentolone della pasta.
Mia madre sarebbe arrivata per ultima, col postale delle 14,30.
Tutti eravamo a casa e finalmente si pranzava.
I cani ci facevano le feste mentre il sole, che aveva perso un pò di forza, girava verso ovest dove sarebbe scomparso dietro l’Aspromonte alle 17,30. Non c'era l'ora legale.
Tempo di vendemmia nelle campagne di Bianco, paese di vino rosso e forte ma anche di vino Greco e Mantonico, dolci e liquorosi con mille profumi di zagara e di ginestra.
La sera cala sulla vecchia casa di mia madre, sulla statale 106.
Mia madre sempre a lavoro per sistemare la casa e per cucinare.
Mio padre sarebbe arrivato a casa alle 21,00, dopo la partita a carte al bar Cafari.
Quella sera avrebbe portato per cena un kg di pescestocco che avrebbe cucinato nel modo più semplice possibile e cioè bollito e condito con olio di oliva.
Nel lettino c'era già una coperta e mi stringevo, piegando le gambe, coprendomi tutta la testa, lasciando solo il naso per respirare perchè avevo paura della notte e del buio.
Almeno non erano arrivati i temporali ed i lampi.
Vedevo in un attimo,prima di addormentarmi,le alte mura della città di Troia ed Ettore nella sua armatura lucente.
Poi i sogni della notte che mi hanno accompagnato per tutta la vita.
L'indomani si sarebbe ripetuta la storia della vita, vita uguale, stagnante, ritmata dal nascere e dal tramonto del sole e dal succedersi regolare delle stagioni senza sorprese o cambiamenti , che, se c'erano, erano lenti,assorbibili e controllabili.
La vecchia casa sulla statale 106 non c'è più.
Sono morti i miei genitori, i miei cani e gli alberi da frutta nel giardino che circondava la casa.
Poche auto sulla statale 106, poche persone.
Solo qualche ubriacone che rientrava tardi a casa, avvinazzato e che si fermava per parlare con i platani.
Poi solo il silenzio.
Solo un orecchio sensibile e fino avrebbe sentito uno sciacquettio leggero che viene ancora da est, è il suono del mare Ionio, antico come l'eternità.
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